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sabato 14 gennaio 2012

Aniceto Del Massa: le tentazioni esoteriche di un anarchico di destra

Aniceto Del Massa, Pagine esoteriche, Trento, La Finestra 2003, a cura di A. Iacovella


La figura di Aniceto Del Massa, scrittore, poeta, filosofo, critico d’arte, cultore di scienze esoteriche, nato a Prato il 7 febbraio del 1898, può essere arruolata di diritto tra le più emblematiche della corrente occulta attiva in Italia tra le due guerre. Del Massa (con Evola, Reghini, De Giorgio e altri esponenti del “Gruppo di Ur”) fu infatti — a suo modo — un protagonista tutt’altro che secondario del panorama culturale italiano e dei suoi risvolti, appunto «esoterici».
Anima inquieta e insofferente alle piccinerie dell’«Italietta», in Del Massa — a dire, perlomeno, di quanti con lui ebbero personalmente a che fare — si sommavano, compenetrandosi, molti dei connotati tipici del «toscanaccio»  alla Maccari o alla Malaparte: un temperamento sanguigno e anticonformista per partito preso, un’intelligenza  eclettica e vivace, l’amore per le battute al vetriolo, nonché una certa, mai sopita, «ipertrofia» dell’ego. È un adolescente imberbe con l’aria aquilina e volitiva da aspirante scrittoruncolo quello che, nel 1915, fa la sua comparsa nei caffè letterari più in voga della vecchia Firenze, dove il fior fiore della locale intellighentsia, all’indomani dello scoppio della Grande Guerra, si interroga pensosa, quando non si accapiglia, sul da farsi. Qui, seduto a un tavolino, tra le nuvole di fumo delle sigarette Capstan, mentre le sedie volano letteralmente a destra e manca e il clima politico si fa sempre più elettrico e rovente, Del Massa verga —  su carta intestata del «Paszkowski» — le sue prime e malsicure prove poetiche (“Brriccatiracamècamè che non c’è che non c’è…”), nelle quali l’influenza di un certo qual «marinettismo» di ritorno è fin troppo evidente. «La fortuna — scrive — mi ha fatto vivere in un’epoca e in una città, accanto a uomini e a idee, capaci di scuotere e animare l’intelligenza. La mia formazione spirituale è stata così favorita da un ambiente propizio; giovanissimo, anche se di riflesso, respirai l’atmosfera intellettuale creatasi in Firenze con “La Voce” prima e poi con “Lacerba”. Imparai molte cose e fui sull’orlo di molti pericoli; frutto di tante tumultuose letture furono entusiasmi e depressioni, dubbi, incertezze, disordini e aspirazioni rivoluzionarie. Il disprezzo per tutto ciò che borghese, filisteo, convenzionale, rettorico, luogo comunismo, è penetrato in me proprio nel periodo più squassato della mia vita quando ogni giorno era la negazione del precedente e mi attiravano irresistibilmente le esperienze più rischiose».
La guerra, quella vera, aveva per rintanto cominciato ad infuriare e Del Massa, interventista della più bell’acqua, fece giusto in tempo ad assaggiare la polvere delle trincee, uscendone maturato e ritemprato nello spirito: «Per me — annoterà più tardi significativamente — la guerra è stata la rivelazione magica di me stesso e della vita; la scuola più santa di umanità […] quelli che erano gli istinti più sani, le aspirazioni, i propositi, le capacità fisiche e spirituali si sono prodigiosamente sviluppati: sul Carso, Vodice, Sabotino, S. Gabriele, Monte Santo, Bainsizza; e poi sul Grappa, Piave, Tonale, in fanteria e con gli alpini, ho cominciato a conoscermi e a conoscere meglio gli uomini».   

Nella pelle del drago
Chiusa la parentesi bellica, il «biondo forte roseo» Aniceto — tale nel vivido ricordo dello scrittore Augusto Hermet (1889-1954) — fece ritorno alla vita, si fa per dire, «normale». I convulsi anni ‘20 rappresenteranno, infatti, come vedremo, una fase decisiva nella maturazione umana e politica di Del Massa, tale da spingerlo ad optare per una convinta, ancorché problematica, adesione all’albeggiante fascismo. Giocherà non poco, nella scelta di abbracciare disinteressatamente la causa rivoluzionaria del Mussolini ante-regime, la consapevolezza, intimamente nutrita, che solo il fascismo, nonostante le sue non poche contraddizioni intrinseche, avrebbe potuto mettere argine alle mediocri mene di una società «laida, commerciale, imbecille» (da un pagina di diari del 1923).

L'amicizia con Reghini
Quella con Arturo Reghini fu, per Del Massa, un’amicizia decisiva, nata nel segno di un super  o metafascismo esoterico, dato che del «metafisico Arturo» il nostro può essere considerato come il più «qualificato» dei discepoli. Dal diario dello stesso Del Massa del 2 agosto 1923: «Reghini ha assistito ad una seduta spiritica in casa mia. Condivide pienamente la mia opinione circa la medianità della Signora Mazzucconi e che non è da mettere in dubbio. È rimasto scosso, indubbiamente quella sera, sebbene sia difficile ormai rimuoverlo dalle sue convinzioni. Sul suo conto corrono le voci più strane. È un soggetto che ancor offre curiosità, intendo nel senso migliore; e mi dispiace che abiti a Roma; ché altrimenti vorrei stare con lui un po’ più intimamente. I massoni sono contraddittori nel giudicarlo. Ma qui s’entra nel mistero».
Il connubio Del Massa-Reghini si cementa in occasione dell’uscita, nel 1924, del mensile di studi iniziatici Atanòr, animato da Reghini in qualità di direttore, dove tra i principali collaboratori figurano, oltre a quella di Aniceto, i nomi di «Luce» (Giulio Parise) e di Evola. Sulle pagine di Atanòr, che nel 1925 cambierà titolo per assumere quello di Ignis, Del Massa firma 3 recensioni e una lunga dissertazione su «Palingenesi e reincarnazione». Del Massa, il quale poco o punto, fino ad allora, si era occupato della c.d. «Gaia Scienza», se non per vie traverse, era stato anch’egli, insomma, attirato dal «credo» reghiniano circa l’esistenza di una vetusta e ininterrotta «sapienza italica», riconducibile, in ultima analisi, alla Scuola di Pitagora. Non a caso, al tema «Il Pitagorismo di fronte alla Scienza Occidentale», Del Massa dedica, nel 1925, una cristallina mise en point, edita in due puntate sulla neonata Ignis. «Se, dunque, anche per quanto riguarda le discipline spirituali, insistiamo su un metodo positivo di ricerca, non si vuol limitare la metafisica in aride strettoie, ma si vuol solo fare di questa una scienza sperimentale, in cui le ricerche siano controllate, vagliate, confrontate, come avviene in ogni scienza e perché, infine, abbia termine, un dissidio inconcludente e veramente arido per cui avviene che scienziati e filosofi seri e benemeriti abbiano a sorridere ogni quando un filosofo spiritualista solo con tale appellativo a loro si presenti. Discredito creato precisamente dagli pseudo-spiritualisti, tesofi, mistici, in mala fede».

«La lettera per i profani, lo spirito per gli iniziati»
La conoscenza esoterica, secondo Del Massa, non ha, dunque, veramente, senso, ove non la si converta spagiricamente in una «metafisica sperimentale», in una «Scienza dell’Io», mediante la quale il miste si affranca dalla cappa plumbea della materia per sollevarsi alle solari e rarefatte altezze della Sophia Perennis o Sanatâna Dharma. Da qui la sua decisione di aderire — sembrerebbe — al cosiddetto «Gruppo di Ur» (dal titolo dell’omonima rivista evoliana, attiva tra 1927 e il 1928).. Sono anni, per Del Massa, all’insegna di una titanica, appassionata, spregiudicata, ricerca interiore. «Io — annoterà nel suo diario, alla data del 25 aprile del ’28 — credo alla magia; so benissimo che le forze occulte della natura se dominate, determinano una potenza non comune [...]. Attualmente devo dire di non conoscere in Occidente alcun centro iniziatico, sebbene abbia la certezza che molti ne esistano, ma superiore ad ogni altra convinzione in me domina quella che ognuno non può pervenire altrimenti che con le sue forze alla conoscenza; per un misterioso procedere che sta alla base stessa dell’iniziazione e che non ha nulla a vedere con le idee di grazia, di elezione, come comunemente intese […]. Ogni prova è facile a superarsi quando la coscienza abbia raggiunto il suo vero stato […]. Io non ho raggiunto, finora, che la soglia; so che molto cammino ho da compiere; ma so anche che la via della dignificazione è ardua e le vie comunemente battute non vi portano». 
Indirettamente coinvolto, in quanto — come si è detto — amico e discepolo di Arturo Reghini, nella ben nota querelle tra Evola e quest’ultimo, querelle che avrebbe condotto alla dissoluzione del «Gruppo di Ur», in Del Massa si fece strada la consapevolezza della necessità di non parteggiare fideisticamente per questa o per quella corrente iniziatica, essendo compito dei veri cultori dello Spirito operare, semmai, in saggia concordia, liberi da vincoli e/o da connessioni esteriori. Il che, tra l’altro, rende priva di fondamento, l’ipotesi ventilata da taluni, e non avvalorata che dalle «solite» informative complottistiche della polizia politica, di una sua affiliazione sul filo di spada alla «Gran Loggia d’Italia» di Piazza del Gesù; ipotesi, puntualmente smentita, ancora una volta, dai taccuini personali di Del Massa, dove non mancano, viceversa, le prese di posizione, anche decise e pungenti, contro la massoneria, come la seguente: «… mi si consiglia di entrare in massoneria [...]. Confesso di esser molto indeciso […]; i miei amici massoni mi considerano un loro fratello, e d’altra parte lo sono in quanto pitagorico; della massoneria dicon corna; ora, io mi domando, a che entrare? per aggiungere un’altra voce alla loro? Oppure per tentare con i pochi eletti di ricostruire e lavorare seriamente? Il primo scopo sarebbe vano, il secondo bello. Per il primo non starei in dubbio; per il secondo mi sembra di essere ancora immaturo. Ho sovente avuto occasione di dire che è mio sommo desiderio di pervenire alla conoscenza attraverso tutti i miei errori; iniziato io voglio divenire solo con le mie forze [...]. Finché l’arbitrio di arrivisti massoni avrà il sopravvento credo sia inutile sprecar tempo e pazienza» (dal diario del 18 aprile 1924 e passim).

Oltre la bufera
Gli anni trenta vedono Del Massa, fascista fervente e convinto, impegnato più che altro sul piano «profano»: è il tempo delle piccole baruffe filosofiche e ideologiche, delle sempre più prestigiose collaborazioni giornalistiche, delle conferenze ufficiali, della sia pur relativa, in una parola, «notorietà». Un idillio condannato a rompersi traumaticamente con l’entrata in guerra dell’Italia al fianco delle Potenze dell’Asse e la successiva caduta del fascismo. Una dura — l’ennesima — «prova del fuoco», alla quale la generazione a cui Del Massa appartiene si sottopone, nelle speranza di contribuire alla grandezza e al riscatto della Patria. Il desiderio di essere coerente con se stesso, non disgiunto da uno spiccato senso dell’onore, lo porteranno a optare, senza esitazioni, per la Repubblica Sociale, con tutte le contraddizioni che questa scelta, pure nobile e sofferta, comporta, ivi compresa la partecipazione alla sciagurata campagna antisemita; campagna nella quale Del Massa si distingue con il suo Razzismo Ebraismo (Mondadori, 1944), dove, se non altro, è auspicato il prevalere di una interpretazione non grettamente «biologica» del concetto di razza. Al delinearsi della quale deve aver giocato, sia pure in un modo indiretto, la frequentazione, tra Roma e Rapallo, del grande poeta americano Ezra Pound: «Non ricordo bene in quale anno lo conobbi; deve essere stato o poco prima della guerra o durante il primo anno; si stava interessando di una sua traduzione da Confucio e quando seppe che a Confucio anteponevo Laotze mancò poco non ci guastassimo; so che divenne di umore pessimo e non si stancava di ripetermi che Laotze aveva una mentalità massonica. Confucio era il suo chiodo fisso e a non tributare a quel venerabile cinese tutti gli onori dovuti c’era da farselo nemico per la vita». Aneddoto gustoso, se si vuole, non men che surreale, ma che la dice lunga sulla natura dei due protagonisti, intenti a discettar di filosofie orientali, mentre fuori, nel mondo, infuria la battaglia… «Quando seppe — continua Del Massa — che in quel tempo io mi occupavo di Goethe, volle che gli fornissi un ragguaglio sui rapporti tra Goethe e la massoneria. Su tale argomento ebbe a scrivermi in seguito sovente. Non aveva tempo di rileggere il «Faust» — mi scrisse una volta — ma era sicuro che nella parte seconda dovesse esserci, adombrato convenientemente, qualche accenno ben preciso, qualcosa di profetico sui tempi che si avvicinavano e mi pregava di indicargli passi e riferimenti». 

Il crepuscolo
Ci vorranno i primissimi anni ’50, perché Del Massa possa tornare, reduce da campi di prigionia e da peripezie le più varie, al lavoro di sempre: quello di saggista e di giornalista. Non rinnega i suoi trascorsi, anzi ne fa tesoro, quasi purificato dalle avversità; fino al 1961, dirige la terza pagina del «Secolo d’Italia». Mentre il crepuscolo, inevitabile, si avvicina, sente crescere i sé — e i suoi appunti ne recano una commossa testimonianza — il bisogno di trovare una dimensione dell’essere a lui più consona; si riaccosta all’antroposofia, pratica lo yoga, scruta — lui astrologo — le stelle, medita sugli insegnamenti del Tao e dell’amato Lao-Tse o «Vecchio Bambino». Muore così, mentre corre il 1975. La speranza di una preziosa rinascita lo accompagna mentre varca l’ultima soglia. L’aveva cantato, quel momento, in una vecchia, ingiallita poesia, dalla quale vi piace attingere per degnamente chiudere questo nostro profilo: «Potere oscuro, legge arcana, somma/dell’Universo in me conclusa Vita/che nel variar delle stagioni ascolto,/con volontà d’amore si fa forte/la fede e nella notte incerta e cupa/segni rivelatori l’ansia scruta —/s’accende un ritmo della Nuova Aurora».

Angelo Iacovella