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sabato 21 gennaio 2012

Dal cerchio al centro: René Guénon

Autori vari, Esoterismo e religione nel pensiero di René Guénon, Arktos, Carmagnola 2009, pp. 148.


La casa editrice Arktos ha pubblicato, per la Fondazione Evola, il volume Esoterismo e religione nel pensiero di René Guénon. Questo libro raccoglie gli atti di un importante convegno dedicato al tradizionalista francese, che si tenne a Roma il 10 Novembre 2001 presso l’Accademia di Romania. All’evento, fortemente voluto dalla Fondazone Evola che se ne fece promotrice assieme all’assessorato alla Cultura della Regione Lazio, e la cui organizzazione fu curata dal Segretario della Fondazione, Gianfranco de Turris, parteciparono alcuni dei più rappresentativi studiosi del mondo tradizionale del nostro paese, al fine di celebrare degnamente il cinquantesimo anniversario della morte di Guénon. Innanzitutto, il compianto Alfredo Cattabiani che, come ricorderanno almeno i lettori più anziani, attraverso le edizioni Borla, poi con la direzione editoriale della Rusconi e, soprattutto, con una vasta produzione saggistica, si fece interprete, lucido e intelligente, di una cultura anti-razionalista e anti-illuminista. Le qualità dell’uomo e dell’intellettuale emergono anche dalla lettura della relazione che tenne al convegno in questione, Attualità di René Guénon. In essa, Cattabiani presenta, in sintesi, l’evoluzione speculativa e spirituale di Guénon, non scadendo mai nella semplice agiografia, ma mostrando indubbie qualità critico-esegetiche . In particolare, oltre ai meriti indiscutibili che vanno riconosciuti all’esoterista di Blois, Cattabiani  individua un limite nel suo approccio alla tradizione, consistente nell’aver confuso la religione cosmica con la tradizione tout court. Questa la vera ragione della sottovalutazione guénoniana della rivelazione cristiana, nonché la causa della caratterizzazione meramente intellettuale-metafisica del suo pensiero, a discapito di un approccio al reale motivato, al contrario, sulla  dimensione della carità. Cosa che, come ricorda l’autore del saggio, fu già imputata al tradizionalista, dal filosofo cristiano Maritain. Stimolante è anche il contributo critico fornito da Piero Di Vona, nella relazione Julius Evola e René Guénon: un confronto. A questo studioso si devono, peraltro, i primi lavori accademici dedicati alla corrente di pensiero detta del “tradizionalismo integrale”. Di Vona sottolinea il diverso retroterra culturale dei due autori, maggiormente caratterizzato in termini filosofici quello di Evola, oltre che centrato su una lettura della tradizione romana come autentica via al divino, più aperto quello di Guénon all’Oriente, vista la sua critica al primato ellenico-romano. Ciò determinò l’interessante interpretazione di Guénon del cristianesimo delle origini, inteso come un’associazione iniziatica che si trasformò, solo successivamente, in religione essoterica, per subentrare agli antichi culti agrari ormai decaduti. Questa impostazione era destinata a dividere, su alcune posizioni di grande rilevanza, i due studiosi perfino nel periodo in cui essi saranno più vicini.



Alessandro Grossato nel saggio Agartha, Agharti o piuttosto Agartu difende le posizioni espresse dal pensatore francese nel “Re del mondo”, a proposito dell’esistenza invisibile di un “Centro” o “Cuore del mondo”, proponendo una chiave mongola per definire e comprendere questo mito. L’invisibilità del Centro si riferisce, secondo Grossato, alla sua natura eminentemente spirituale, che può essere rinnovata esclusivamente da  patti fra gli uomini appartenenti alle élites intellettuali. È un regno sub specie interioritatis che solo le scelte umane possono, pertanto, riattualizzare nella storia. Al Centro corrisponde anche il logogrifo di una piccolissima località posta al crocevia storico-geografico fra sciamanesimo, taoismo, buddhismo e islamismo. Di questo luogo, Grossato fornisce anche le precise coordinate: il lettore, curioso e interessato a questi temi, legga attentamente il saggio e saprà dare giusta collocazione al “Cuore del mondo”. Quello che, invece, ci ha colpito della relazione di Francesco Zambon Guénon e la leggenda del Graal, è la ricostruzione storico-filologica delle fonti di Guénon: la versione della storia cui egli fa riferimento è narrata nel libro di Victor-Emile Michelet, Le Secret de la Chevalerie. Zambon riferisce del protagonismo di Michelet negli ambienti occultistici francesi e della sua vicinanza a Stanislas de Guaita, membro dell’ordine cabalistico dei Rosa Croce. Alla morte del de Guaita, gli archivi dell’Ordine furono trasferiti a Guénon  che, così, sarebbe potuto venire a conoscenza delle tesi del Michelet sul Graal (non essendo, all’epoca, ancora stato pubblicato il libro ricordato). Quindi, Guénon per sviluppare le sue tesi sul Graal, si servì di una “compilazione” moderna, nata negli ambienti occultistici, che utilizzò per sostenere che gli autori medievali della leggenda non erano, in realtà, che gli inconsapevoli portavoce di una imprecisata organizzazione iniziatica. Per questo, la lezione del francese, sostiene l’autore della relazione, conserva il suo valore per quanto riguarda i principi generali di interpretazione, ma appare superata nei suoi riferimenti alle fonti. Dei rapporti di Guénon con la massoneria si occupa l’arabista Angelo Iacovella in Tra due colonne, René Guénon e la massoneria. Lo studioso ripercorre i momenti più significativi della formazione del francese, riferendo dei suoi rapporti con il mondo massonico, iniziati nel lontano 1907. Attraverso Papus e la frequentazione della di lui Scuola di Scienze Ermetiche, il tradizionalista fu iniziato al grado di apprendista il 25 Ottobre dello stesso anno, per divenire maestro il 10 Aprile 1908. Siederà, con questa carica, al Congresso Massonico Spiritualista, accompagnando, inoltre, i delegati in una visita guidata alle meraviglie alchemiche della facciata di Notre Dame. Nel 1912, Guénon prosegue il suo magistero massonico sotto l’egida della Gran Loggia di Francia, solo nel 1918, senza venirne peraltro radiato, cesserà in questo ambito le sue attività. Nel frattempo aveva collaborato a riviste cattoliche e dichiaratamente anti massoniche, tra le quali “ Regnabit”, animata da Charbonneau-Lassay. Non si tratta di comportamento, spiega Iacovella, incoerente, al contrario: infatti, Guénon avrebbe voluto riattualizzare quanto di “impermanente” restava, tanto nel cattolicesimo tradizionale, quanto negli antichi compagnonnages, al fine di scongiurare la definitiva dispersione del tesoro iniziatico che conservavano ancora, almeno in parte. Forse si trattò di mere illusioni, vista la successiva scelta islamica del tradizionalista. Lo storico delle religioni Enrico Montanari in Guénon e l’esoterismo cristiano orientale, saggio che mostra una competenza filologica e interpretativa notevole dello studioso italiano riguardo alle diverse fasi di sviluppo del pensiero dell’esoterista, chiarisce come, dopo il 1930, Guénon attraverso contatti in Egitto con ambienti legati al sufismo, riflettendo su pratiche come il dhikr, giungesse ad incontrare e a leggere positivamente, in termini iniziatici, l’esicasmo, la preghiera del cuore, propria della mistica ortodossa. Probabilmente, un’influenza in questo senso fu esercitata dai suoi discepoli di origine romena, come Valsan. Più in particolare, agì su di lui la lettura del testo di Vladimir Lossky, Teologia mistica della Chiesa d’Oriente. Nonostante ciò, il suo riconoscimento dell’esicasmo non divenne mai  una ricerca delle sue basi dottrinali più profonde, in quanto il francese non riconobbe mai al cristianesimo uno statuto tradizionale privilegiato. Sul tema Guènon e l’esoterismo islamico segnaliamo il contributo di Alberto Ventura, al quale si collega, per certi aspetti, la relazione di Dag Tessore  Guénon e la mistica delle Crociate”, saggi che chiudono il volume. In conclusione, ci permettiamo di consigliare caldamente al lettore il libro che abbiamo presentato perché, come ha sostenuto Luciano Arcella nella postfazione, Guénon non cercò mai di ricostruire la tradizione, ma cercò semplicemente di rintracciarne segni vivi nella storia e nel suo tempo, suggerendo itinerari e percorsi originali per una ricostruzione interiore. Anche alla luce di ciò, Gianfranco de Turris, nella prefazione, suggerisce di integrare le posizioni di Guénon con le rettificazioni e le precisazioni addotte, alla filosofia della tradizione, da Evola. Solo a questa condizione la tradizione si lascia intendere nella sua dinamicità, come autentica nostalgia di futuro, o, per dirla con Heidegger, come “ciò che essendo all’origine resta sempre un avvenire, resta costantemente sotto l’influenza di ciò che è da venire”. La tradizione, quindi, come progetto sempre transitabile.
 Giovanni Sessa