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giovedì 12 gennaio 2012

La Tradizione come folgorazione: Guido de Giorgio

Guido de Giorgio, Prospettive della Tradizione, Catania, Il Cinabro 1999, pp. 176. 



Guido de Giorgio è autore non facile né — almeno all’apparenza — eccessivamente «invitante», ragion per cui ogni sua pagina, più che letta, va — ci si passi la metafora alpinistica — «scalata»; ogni sua opera, a cominciare da La tradizione romana (I ed. postuma: 1973), opportunamente «ruminata»; il suo pensiero — espressione di un cattolicesimo adamantino non privo di sfumature  ermetiche  e metafisicheggianti — còlto nell’atto del suo dipanarsi e culminare in folgoranti illuminazioni.
Un autore tutt’altro che agevole ad accostarsi, abbiamo detto, ma anche — tra parentesi — tutt’altro che facilmente reperibile sul mercato; circostanza, quest’ultima, che ha ovviamente fatto sì che, per quanto cospicuo, il contributo dottrinale di De Giorgio non abbia mai ricevuto l’attenzione che pure meritava. Prospettive della Tradizione contribuisce, in parte, a colmare questa deprecabile lacuna.
Il volume in questione raccoglie i testi originali di tutti gli articoli pubblicati dal De Giorgio tra il 1939 e il 1942 su «Diorama Filosofico», l’inserto quindicinale curato da Evola per il quotidiano di Farinacci Il Regime Fascista. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare a un primo impatto, si tratta di scritti che (a parte gli scontati e tutto sommati secondari riferimenti al Fascismo), poco o per nulla risentono delle contingenze politico-esteriori di quegli anni. Si direbbe quasi, leggendolo, che De Giorgio si sia compiaciuto, piuttosto, di affrontare questo o quell’argomento da una angolazione volutamente anacronistica o, per meglio dire, «metastorica», come è proprio di chi sappia elevarsi, sono parole sue, «a sfere sempre più alte di vita trasfigurante». La disumanità del mondo moderno; l’idolatria della macchina, «l’ascesi guerriera», il binomio «scienza-saggezza», la missione universale di Roma: sono, questi, solo alcuni dei temi che  De Giorgio esamina qui nel nome di quella Verità trascendente che è «essenzialmente una» e che «si riflette, nel complesso cosmico-umano, cioè nel mondo, su vari piani gerarchicamente disposti e unitariamente convergenti».
Il libro è un fulgido ed efficace esempio di come una critica all’odierna Zivilisation, e alle molteplici degenerazioni che questa porta seco, se rettamente formulata, non possa fare a meno di richiamarsi alla Tradizione intesa come «patrimonio vivo perennemente fecondo, ricco di possibilità infinite in tutti i tempi e tutte le circostanze, come una sorgente le cui acque alimentano piani e valli irriguamente e in ogni senso».
Da non perdere. 
Raimondo di Pennaforte