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sabato 25 febbraio 2012

Orfeo impugna il bulino e va alla guerra: Czaschka incisore




Jürgen Czaschka — nato a Vienna nel 1943 — è un solitario, ma non perché abbia abbracciato lo stereotipo bohémien dell’artista timido e insicuro. No. Lo è semplicemente perché glielo impone una ferrea, superba, per certi aspetti crudele, «abnegazione» alla sua opera, il desiderio di annullarsi, di scomparire completamente in essa. Autore alquanto prolifico di impeccabili incisioni al bulino, da autodidatta assoluto Czaschka è pervenuto, mediante ascetica disciplina, a esiti che testimoniano di un lucido e pienamente soddisfatto «dominio» del mezzo espressivo. Un dominio che è frutto, altresì, di una spiccata e beninteso innata «vocazione alla forma», che gli ha permesso e gli permette tuttora — in qualsiasi circostanza — di padroneggiare a suo piacimento le innumerevoli potenzialità insite, per l’appunto, nel segno, apparentemente scabro, del bulino.
In Czaschka, il virtuosismo tecnico — che pure ha fatto di lui uno degli incisori attualmente più apprezzati tra i collezionisti e gli amateurs d’estampes di area germanica — non è mai fine a se stesso. Ancorché sufficientemente vasta, la sua produzione non risente, neanche lontanamente, del ghiaccio accademismo tipico, che so, di una certa grafica mitteleuropea contemporanea, dove si cerca, ma invano, di ovviare all’assenza di una Musa facendo leva sui turgidi quanto sterili artifici del «mestiere».


Czaschka, piuttosto, si muove — e i suoi lavori stanno lì a dimostrarlo in maniera lampante — nell’ambito di un sentimento mitopoietico della vita e della realtà, per mezzo del quale, ogni volta, egli riesce miracolosamente a esorcizzare i demoni da lui stesso evocati, che finirebbero, altrimenti, per stritolarlo. La dittatura della tecnologia, la mercificazione dello spirito, la banalità del male: rebus, enigmi, sciarade, che Czaschka affronta — e risolve — in virtù di una particolare sensibilità estetica e di una spissitudo spiritualis tutta sua, che gli derivano entrambe da una, tutt’altro che superficiale, cultura di matrice storico-umanistica, a cui non va disgiunta la costante frequentazione dei massimi esponenti del pensiero, della musica, dell’arte e della letteratura tedesche, da Friedrich Nietzsche a Richard Wagner, da Ernst Jünger a Gottfried Benn. Individualità titaniche ed emblematiche di un certo modo di concepire il mondo, alle quali Czaschka si è ispirato in alcuni dei suoi più straordinari ex libris. 
Un nichilismo tragico e disperato pervade il corpus incisorio czaschkiano, che pullula di divinità millenarie dalla muscolatura erculea, di maschere atroci e beffarde, di larve subumane condannate a struggersi nell’attesa senza fine di un riscatto impossibile. Un universo dove ogni gioia sembra bandita, a meno che non ci si affidi all'Arte.

Raimondo di Pennaforte